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Attore, nato a Bologna, maturità classica e laurea in Giurisprudenza, si è poi diplomato all’ Accademia d’Arte Drammatica dell’Antoniano di Bologna.
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L’ENIGMA DELLA TELA (un giallo nell’arte)

Alessandro Pilloni  Spettacoli   L’ENIGMA DELLA TELA (un giallo nell’arte)

L’ENIGMA DELLA TELA (un giallo nell’arte)

L’ENIGMA DELLA TELA (un giallo nell’arte)
di Giovanni Gotti e Eugenio M. Bortolini

 

“L’enigma della tela” è una pièce dipinta ad arte e in mostra nei teatri

adesso siediti…. su quella seggiola / adesso ascoltami senza interrompere / è tanto tempo che / volevo dirtelo – da “Bella senz’anima” (1974) di Riccardo Cocciante

RECENSIONE – Siamo stati a teatro – in questo caso nel delizioso gioiello cinquecentesco Teatro San Salvatore di Bologna – ed abbiamo risolto un “giallo”: abbiamo capito, e non solo noi, che “L’enigma della tela – una giallo nell’arte” è una divertentissima commedia che strizza l’occhio alla tradizione, ma guardando anche al futuro.Durante un’asta il banditore Giovanni Neri (o anche Joe Black, citazione?) affiancato dall’esperto d’arte Dottor Crosta, mette in vendita un quadro di enorme valore. E’ un ritratto di fanciulla dipinto dalla famosa pittrice bolognese Elisabetta Sirani, morta in giovane età in circostanze misteriose. Tra gli acquirenti, un uomo “deve” aggiudicarsi a tutti i costi la tela, perché vede in quel dipinto il risarcimento per il dolore e l’ingiustizia subita dalla sua antenata Lucia Tolomelli, servetta in casa Sirani e ingiustamente accusata e processata per l’avvelenamento dell’artista, eccellente pittrice della Scuola di Guido Reni. 
Attraverso le pennellate del ritratto, che pare anche celare il mistero di una fattura a “tre mani” (e perché non a quattro?) il pubblico si ritrova a rivivere il surreale e buffonesco processo che dovette subire la Tolomelli, avvenente fanciulla – si dice – molto sensibile ai piaceri della vita, compresi quelli della “carne” con testimoni, giudice e avvocato più o meno attendibili.

Eugenio Maria Bortolini e Giovanni Gotti, autori della commedia, dipingono una pièce a quattro mani perfettamente incorniciata. Gli attori – Alessandro Pilloni, Filippo Pagotto Cristina Monti, Martina Sacchetti e lo stesso Bortolini – si muovono nella composizione artistica ognuno con un proprio equilibrio in un’alternanza di pieni e di vuoti tipica dell’arte barocca. E come l’arte barocca fa riferimento – nell’accezione della Scuola Bolognese da cui proveniva la Sirani – a nuove soluzioni pittoriche basate sul recupero della tradizione classica rinascimentale con uno sguardo al rinnovamento, così la drammaturgia dei due autori risente dell’influenza di Molière e di Goldoni, con la contaminazione tipica della drammaturgia moderna.

 

Come nella migliore tradizione goldoniana (e perpetuata anche da molti altri, anche se non da tutti), la commedia assolve pienamente alla sua esigenza di far ridere facendo riflettere il pubblico e soprattutto incuriosendolo: chissà che qualcuno tra gli spettatori non sia uscito dalla sala deciso a “scoprire” qualcosa in più su Elisabetta Sirani, il suo buffo processo e la sua arte. Anche fosse uno solo sarebbe un ulteriore merito, tra i tanti già dimostrati sul palcoscenico.

(articolo e foto di Beatrice Ceci )

Battute non-sense, gag, citazioni musicali e un ritmo serrato sono i colori di base utilizzati dagli artisti che dipingono le sfumature attraverso le proprie inclinazioni attoriali. Alessandro Pilloni rivela un registro comico insospettabile (lo avevamo applaudito in situazioni artistiche più cupe), Filippo Pagotto dà vita ad un avvocato esilarante che, purtroppo, ha una base di verità nelle domande ritrovate nelle trascrizioni del processo. Eccellenti anche Martina Sacchetti e Cristina Monti, pur avendo, per motivi di copione, ruoli meno “ampi” dei colleghi. Così come Eugenio Maria Bortolini, che si ritaglia una parte che – pur essendo breve – funge da collante e da cornice. La commedia risulta così estremamente corale senza però che il gruppo possa nascondere l’individualità di anche solo uno degli artisti impegnati in scena.

Come nella migliore tradizione goldoniana (e perpetuata anche da molti altri, anche se non da tutti), la commedia assolve pienamente alla sua esigenza di far ridere facendo riflettere il pubblico e soprattutto incuriosendolo: chissà che qualcuno tra gli spettatori non sia uscito dalla sala deciso a “scoprire” qualcosa in più su Elisabetta Sirani, il suo buffo processo e la sua arte. Anche fosse uno solo sarebbe un ulteriore merito, tra i tanti già dimostrati sul palcoscenico.

(articolo e foto di Beatrice Ceci )